Il “Vocabolario della fraternità”: una bussola contro l’indifferenza al male

Scritto il 15/01/2025
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Un paradigma che esca dalla logica della guerra, lontano da una giustizia che pretenda di essere vendetta o pena esemplare. A questo guarda il “Vocabolario della fraternità. 365 parole per descrivere la nostra umanità”, volume edito da Rizzoli, a cura di padre Francesco Occhetta, docente della Pontificia Università Gregoriana e segretario generale della Fondazione Fratelli tutti, nata per volontà del Papa l’8 dicembre 2021. Nel libro vengono descritte 365 parole, una per ogni giorno dell’anno giubilare, “sgorgate dall’intelligenza del cuore”, come spiega nella postfazione il cardinale Mauro Gambetti, presidente della stessa Fondazione. Il significato di ciascuna parola è dato da una comunità di persone diverse per professione, età ed esperienze, unite però nella promozione del valore sociale della fraternità, desiderata, come spiega padre Occhetta al Sir, “non da chi sta bene, ma da chi sta male”. E, aggiunge, “Ciò mi ha convinto ad andare avanti”.

Nell’Anno giubilare dedicato alla speranza, perché c’era bisogno di scrivere un vocabolario sulla fraternità?
Quando il Papa tre anni fa ha fatto nascere la Fondazione intorno al principio di fraternità, che gli illuministi avevano pensato e poi tradito, abbiamo iniziato a costruire una grande alleanza sociale con lo scopo di dare un fondamento e una metrica.

L’obiettivo era soprattutto quello di dare vita a progetti concreti e fraterni, in cui le scelte dei manager, dei decisori e degli imprenditori fossero ispirate alla fraternità.

Il dizionario raggruppa tante parole descritte da persone diverse, provenienti da settori vari, che guardano allo stesso orizzonte. Sono persone che, pur diverse per estrazione e specializzazione, hanno fatto diventare un valore il credere in questo paradigma nuovo. Da qui sono nate le 365 parole, una per ciascun giorno dell’anno giubilare.

In cosa è nuovo il paradigma proposto?
Vorremmo proporre al mondo sociale e politico un paradigma che esca dalla logica della guerra, che faccia sì che la giustizia non sia vendetta o pena esemplare, ma la ricostruzione di legami fraterni o che il lavoro sia degno. Uscire da tutti i paradigmi problematici che umiliano la dignità della persona e proporre invece qualcosa che possa essere realizzabile insieme. Il libro racchiude una serie di parole con cui narrare un mondo diverso, dal momento che progetti, leggi e scelte nascono tutti dalle parole. Le parole, infatti, modellano il mondo.

Possiamo scegliere di usare – come oggi nel paradigma attuale – parole di guerra o usarne altre che fanno vivere un mondo alternativo. Quelle di pace sono parole risorte dopo la seconda guerra mondiale, attraverso le Carte dei diritti e alcune costituzioni, ma anche eventi come l’incontro alla Casa Bianca fra Arafat e Rabin nel 1993 o l’amnistia in Sud Africa concessa da Mandela facendo incontrare vittime e carnefici attraverso la Commissione per la verità e la riconciliazione. Tutto questo bene nasce da parole buone e nel Vocabolario abbiamo pensato di inserire e riscrivere parole antiche che oggi possono creare un nuovo paradigma sociale.

Quali sono risultate le parole più difficili da scrivere?
Quelle scritte da alcuni premi Nobel, persone che, nonostante siano state ferite dalle bombe, riaffermano la parola fraternità come soluzione per arrestare il male. Chi vuole la fraternità, paradossalmente, non è chi sta bene, ma è chi sta male. Ciò mi ha convinto ad andare avanti. Anche la vedova di Mandela, l’anno scorso intervenuta al meeting della Fondazione, ci ha spinto ad andare avanti in questa direzione. Lei stessa ha scritto riguardo all’inclusione della donna e alle opportunità che nascono dal far incontrare le vittime con i propri carnefici, risanando mondi sociali e politici.

Sono anche parole che si oppongono all’indifferenza che viviamo nei confronti del male?
Le parole chiedono una responsabilità nel loro utilizzo e nel saperle vivere. Il Vocabolario vuole essere una sorta di bussola. È stato un lavoro in cui ho coordinato strumenti diversi che intonavano la stessa melodia.

Quale messaggio spera possa restare in chi leggerà?
Vorrei si avviasse un processo che faccia scoprire cosa significhi l’essere umano oggi. Nella postfazione del cardinal Gambetti viene detto che le Carte internazionali dei diritti non bastano più se non si arriva a definire ciò che è umano nei comportamenti e negli affetti.

La ricerca è sul senso dell’umanità oggi.

Ciò che sta avvenendo, per esempio, a Gaza è disumano. La strada per andare contro la disumanità è adulta e difficile, ma possibile.

Qual è il pericolo maggiore della fraternità?
Che la coscienza sociale non ne comprenda più il valore e aderisca al male personale e sociale. Ai suoi ragazzi don Milani ricordava che una parola non imparata oggi sarà un calcio nel sedere che prenderanno domani. Occorre dunque pronunciare parole di fraternità e poi aiutarsi a viverle insieme

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