AGI - Poche ore dopo che il corpo di Giulia Cecchettin è stato trovato da due cani in un dirupo vicino al lago di Barcis e il suo ex fidanzato Filippo Turetta è stato arrestato, si è capito che da quel momento sarebbe cambiata la percezione dei femminicidi in Italia. Davanti alla villetta di Vigonovo, il 18 novembre 2023 è cresciuto all'improvviso uno sterminato stuolo di rose bianche, girasoli, ciclamini, accompagnati da biglietti scritti da mani bambine e adulte, da ogni angolo del Paese. E davanti a quel prato così prodigo di colori d'inverno, che col passare dei giorni è diventato una montagna inscalfibile, si è manifestata da subito l'epifania che ha fatto diventare la storia di Giulia quella di tutte le donne, una ogni 72 ore, cadute per mano di un uomo.
Ai taccuini e ai microfoni in attesa delle reazioni dei familiari che di solito esprimono rabbia e dolore, com'è umano che sia, sono apparsi in quella selva di fiori, amore e peluches Gino ed Elena Cecchettin, padre e sorella della ragazza, che hanno ribaltato la 'tradizionale' narrazione dei femminicidi. Il papa': "Non provo odio verso Turetta, sono vicino ai genitori che stanno vivendo un dramma. Io adesso penso a Giulia e alle tante Giulie che ci sono nel mondo: l'amore vero non picchia, non urla, non uccide". La sorella: "Filippo non è un mostro ma un 'figlio sano' della società patriarcale".
La parola patriarcato, accantonata per molto tempo nel dibattito pubblico dopo avere ispirato le lotte femministe fino alla riforma del diritto di famiglia che nel 1975 ha tolto ai padri la supremazia per legge sulle madri, è tornata, con nuove accezioni e in un contesto dove la famiglia è declinata in tanti modi, al centro di riflessioni e polemiche. Gino ha confidato di avere avuto un sussulto quando la figlia la pronuncio': "Abbiamo discusso perché non vedevo il motivo per cui avesse tirato fuori questo termine. Poi, andando ad analizzare il significato vero della parola sul vocabolario e il contesto sociale in cui io stesso sono cresciuto, ne ho capito il senso. Questa parola ingloba anche un senso del possesso e quindi l'essere padrone non solo delle cose, ma anche delle vite".
Sono temi che da allora hanno fatto irruzione in Parlamento, nelle piazze dove sono tintinnate le chiavi per mantenere assordante il "rumore" in nome di Giulia, nei discorsi nelle coppie e tra amici e, ora, nelle scuole dove Gino Ceccchettin ha deciso di seminare la storia della figlia alla guida della Fondazione "che ha il compito di educare per prevenire e contrastare la violenza sulle donne ispirandosi alla generosità di Giulia". Ma se fin da subito tutti sono stati avvinti da questa storia è stato non solo per l'angoscia durata una settimana dopo la scomparsa dei due ragazzi ma anche per una regola fondamentale della comunicazione: ci interessa quello che sentiamo più vicino alle nostre vite. Filippo e Giulia giovanissimi, studenti universitari, ragazzi di provincia che vivevano la loro prima relazione, di buona famiglia.
Qual è il veleno che ha portato lui ad accanirsi su di lei con 75 coltellate?
Nel corso del processo, il pubblico ministero ha sostenuto che "Filippo era un ragazzo che aveva gli strumenti per scegliere, nel senso che per la sua provenienza sociale, per i suoi studi, aveva la possibilità di scegliere se uccidere o meno Giulia". L'avvocato Giovanni Caruso, legale di Turetta, ha invece affermato, affrontando un altro dei temi sollevati da questo caso, la proposta di istituire corsi di affettività a scuola, che il suo assistito "era molto immaturo affettivamente". Dunque, in qualche modo, la società non avrebbe provveduto a prepararlo a gestire la fine di un rapporto.
Infine, a rendere questa storia universale c'è la figura di Giulia Ceccchettin. Una ragazza di 22 anni che stava per volare, come appare nella gigantografia per lunghe settimane davanti al municipio. Lei col vento che scuote l'abito rosso, sognante su un'altalena: vicina alla laurea in ingegneria biomedica ma col talento della fumettista che avrebbe voluto continuare a tenere vivo perfezionandosi in una scuola a Reggio Emilia. Non aveva ancora deciso se dedicarsi alla scienza o al disegno, o a tutto. Era in quel sottile, magico momento della vita in cui ancora ogni cosa vista da un'altalena è possibile e illuminata.