Qualcuno, forse, ci aveva sperato. In realtà, era irrealistico pensare che lo scorso 10 gennaio, data della nuova cerimonia di insediamento di Nicolás Maduro, per il suo terzo mandato come presidente del Venezuela, dopo le discusse elezioni dello scorso 28 luglio, potesse accadere qualcosa di diverso da quanto è successo. Dunque, Maduro ha giurato, di fronte a una sparuta pattuglia di delegazioni internazionali, di quei pochi Paesi che continuano a sostenere il regime post-chavista, e a due soli capi di Stato, il presidente di Cuba, Miguel Díaz-Canel, e del Nicaragua, Daniel Ortega, mentre hanno preso le distanze da Maduro, anche se con intensità differenti, i Governi di sinistra di Cile, Brasile e Colombia. L’illegittimità della vittoria elettorale è stata sottolineata da gran parte dei Governi europei, a partire dall’Italia, e dagli organismi internazionali. La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha chiesto che il Venezuela sia restituito al popolo venezuelano e ha affermato che “invece di prestare giuramento illegittimo, Maduro dovrebbe affrontare la giustizia”. L’opposizione è scesa, ancora una volta, in piazza, ma senza far pensare neppure per un momento di essere in grado di dare la “spallata” al regime. Un copione già andato in scena più volte, a partire dal gennaio 2019. Edmundo González Urrutia, il candidato presidente che si è sempre proclamato vincitore, aveva annunciato il suo ritorno in Venezuela dall’esilio dove si trova; invece, è rimasto fuori dai confini, in attesa di rientrare e di farsi proclamare presidente “al momento giusto”.
Maduro, la posizione dell’Esercito, le troppo facili profezie dell’opposizione. Ma arriverà, questo momento giusto? Molte speranze vacillano, e a leggere con realismo la situazione è una figura di spicco del panorama ecclesiale e culturale venezuelano, che affida al Sir una riflessione, mantenendo l’anonimato, nella consapevolezza che la repressione del regime di Maduro si sta facendo sempre più opprimente. “Nicolás Maduro – ci spiega la nostra fonte – sta iniziando un nuovo periodo totalmente illegittimo. La comunità internazionale, le organizzazioni internazionali per i diritti umani e le agenzie dell’Onu sono state categoriche su questo punto”. Ciò avviene, secondo molti analisti, grazie al fatto che il presidente continua a mantenere il controllo delle Forze armate, nonostante il suo basso gradimento tra la popolazione. “In realtà – distingue l’analista – credo che Maduro non abbia l’appoggio delle Forze Armate ma ne abbia, appunto, il controllo. È chiaro che esiste un’élite delle Forze Armate legata alla coalizione dominante, e con molti interessi economici. Ma non si può dire che ci sia un appoggio istituzionale da parte dell’Esercito. Un indicatore, ad esempio, è che prima del 28 luglio, data delle elezioni presidenziali, c’erano più detenuti politici militari che civili. Tutto questo è indice di un grande malcontento interno e di una grande sfiducia nei confronti di chi è al potere. Naturalmente, dopo il 28 luglio la correlazione è cambiata, perché sono stati imprigionati quasi 2.000 civili, soprattutto di settori popolari. Non si può dire, insomma, che le Forze armate sostengano il sistema attuale; all’interno delle Istituzioni c’è uno Stato di polizia che genera molta sfiducia e frammentazione interna. Esiste, dunque, un controllo interno attraverso la denuncia e la sfiducia, ma questo è cosa diversa da un sostegno istituzionale”.
In ogni caso, aggiunge la nostra fonte, “il mondo militare è ermetico, un vaso di Pandora, tutto il sistema di controllo è gestito dai cubani, maestri dell’ingegneria del potere, il governo non ha sostegno sociale, il popolo ha deciso di cambiare, ma c’è un grande controllo sociale attraverso il terrorismo di Stato. C’è anche un’intera costruzione giuridica anticostituzionale che governa il Paese. La legalità è diventata, paradossalmente, ingiusta e incostituzionale, perché è il vestito che il potere ha disegnato per se stesso”.
L’interlocutore è scettico sulle possibilità di incidere da parte dell’opposizione: “Sfortunatamente, l’opposizione rimane scoordinata, ha suscitato false aspettative riguardo a quanto sarebbe potuto accadere il 10 gennaio, e un’ulteriore profezia non realizzata può portare più frustrazione e maggiore emigrazione. Negli ultimi giorni, il Governo ha chiuso le frontiere e all’interno del Paese ci sono molte alcabalas (posti di blocco stradali). La città di Caracas è stata messa sotto controllo, molti veicoli motorizzati senza targa e con cappucci circolano e fermano le persone a piacimento, spesso per estorcere denaro, altre volte per arrestarle arbitrariamente. Prima del 10 gennaio, c’è stata un’ondata di arresti emblematici di leader sociali e politici nelle diverse regioni del Paese; a Caracas, hanno arrestato e fatto sparire arbitrariamente il noto giornalista e difensore dei diritti umani Carlos Correa, un cristiano con una grande esperienza di lavoro sociale e nella difesa dei diritti umani; il Governo sta oltrepassando tutte le linee rosse e siamo in uno stato di grande insicurezza”.
Proprio l’arresto e la sparizione di Correa, presidente dell’ong Espacio público, sta suscitando una forte impressione a livello internazionale. In particolare, Amnesty International ha avviato una raccolta di firme per la sua liberazione. Anche l’Osservatorio per la democrazia dell’Associazione delle università affidate alla Compagnia di Gesù in America Latina (Ausjal) ha diffuso un comunicato per condannare la sparizione dell’attivista e per chiedere che venga resa nota la sua attuale situazione. In tutto, sono al momento dodici i giornalisti detenuti nel Paese, come ha denunciato il Collegio nazionale dei giornalisti del Venezuela.
La Chiesa anima alla speranza. In tale difficile contesto, la Chiesa continua a essere la spina dorsale che tiene viva la popolazione e alimenta la resilienza della società civile. Già si sono espressi, giovedì scorso, i vescovi del Paese, chiedendo, vanamente, il rispetto della volontà popolare. Ma l’azione della Chiesa si dispiega in tutto il territorio e nelle parrocchie, mantenendo viva la speranza nel futuro. Ne è testimonianza la lettera inviata ai parrocchiani da padre Néstor Briceño, parroco della Trasfigurazione del Signore a El Cafetal, sobborgo nella periferia est di Caracas. “Alcuni psicologi – scrive il parroco nella lettera, pervenuta al Sir – analizzano la situazione che abbiamo vissuto negli ultimi giorni e ci invitano a vivere la resilienza rafforzando la speranza che si può ottenere solo con la pazienza. È tempo di concentrarsi più su ciò che è stato raggiunto che su ciò che non è stato raggiunto”. Quindi, l’ulteriore incoraggiamento: “Separazioni familiari, difficoltà economiche e di salute, oltre a una serie di altre calamità, hanno rattristato il nostro popolo. Non possiamo lasciarci sopraffare dal demone della tristezza che cercherà in ogni momento di sconfiggerci”. Da qui, l’esortazione finale, collegata all’anno giubilare appena aperto: “Dobbiamo vivere la nostra storia con un vero senso di speranza”.
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